A lezione con Margarethe von Trotta
“A Dusseldorf, a sedici anni, ‘I bambini ci guardano’ di Vittorio De Sica (1943), è stato il primo film della mia vita: vedendolo, ho colto l’importanza della verità e di ciò che diciamo e facciamo con i giovani”. È con queste parole, pronunciate in un ottimo italiano, che è cominciata la Lezione di Cinema tenuta da Margarethe von Trotta alla sesta edizione del Bif&st. “Sono molto, molto felice – ha continuato la regista tedesca – che ci siano anche oggi in sala tanti giovani. Giorni fa Ettore Scola, nella sua lezione, li ha invitati a essere parte attiva della società e io concordo con lui. Questo festival ha sempre voluto i giovani come referente importante ed è per questo che continuo ad amarlo”. Una stima, un attaccamento che si concretizza anche quest’anno – come già avvenne due anni fa con “Hanna Arendt” – con la presentazione proprio qui a Bari del suo ultimo film “The Misplaced World”.
Preceduta dalla proiezione del suo capolavoro “Anni di piombo”, premiato nel 1981 a Venezia con il Leone d’Oro, Margarethe Von Trotta, riferendosi all’importanza che il neorealismo italiano ha avuto per la generazione dei registi tedeschi degli anni ’70-’80, ha detto: “Anch’io da bambina non sapevo che eravamo i responsabili della Seconda Guerra Mondiale. A casa e a scuola, siamo stati cresciuti nel silenzio sul passato: si sono dati molto da fare per tenere una generazione all’oscuro, vivevamo in una cappa di piombo. Per questo nel film è il padre delle due bambine che fa vedere loro ‘Notte e nebbia’ di Alain Resnais sui campi di concentramento”. “La nostra generazione – continua la von Trotta – ha capito solo negli anni ’60 cosa era successo veramente e allora come reazione molti di noi sono diventati ribelli. Noi – a differenza dei registi italiani che, come ha ricordato Scola, sono stati spinti subito dopo la guerra a darsi da fare perché amavano il loro Paese – non abbiamo mai amato la Germania, l’abbiamo odiata. I miei ricordi di Berlino erano solo le rovine”.
“Anni di piombo”, ispirato alla vicenda delle sorelle Christiane e Gudrun Ensslin (quest’ultima membro di spicco della ‘Banda Baader-Meinhof’ dell’ultrasinistra tedesca, trovata morta nel 1977 assieme ai suoi compagni nella prigione di sicurezza di Stammhein) è nato dopo un lungo colloquio tra la von Trotta, presente ai funerali, e Christiane. “Tutti noi della sinistra – ricorda – abbiamo pensato ‘li hanno ammazzati’, mentre la destra parlava di ‘suicidio per mettere in difficoltà il governo’: c’era un clima molto pesante nella Germania di quegli anni, una situazione ben mostrata da ‘Germania in autunno’ (un film a più mani, prodotto nel 1978 per iniziativa della Filmverlag der Autoren (Cooperativa di autori tedeschi sorta nel 1971)”. “Parlando a lungo con Christiane ho capito che aveva bisogno di qualcuno con cui parlare di sé e della sorella, ma solo sei mesi dopo ho pensato che questa relazione tra le due sorelle mi avrebbe permesso di parlare della Germania, usando anche i miei ricordi, quelli degli anni di scuola”. L’ex attrice di tanti film di Fassbinder e Schlondorfff, ha poi ricordato un aneddoto particolare: “Nella prima sceneggiatura avevo scritto che lei viene a sapere della morte della sorella mentre si trovava in vacanza in Sicilia: quando gliela mostrai, Christiane fu scioccata perché era proprio successo così senza che lei me l’avesse detto”.
Un tema, quello delle sorelle presente in molti lavori della von Trotta, che, ridendo, si giustifica così: “Sono figlia unica, ma dopo ‘The Misplaced World’ non ne parlerò più”.
La ricerca di Margarethe von Trotta di capire bene i fatti prima di scrivere una sceneggiatura è una scelta di vita ben precisa. “Quando mi fu proposto di girare ‘Rosa Luxemburg’, progetto dell’amico Fassbinder che però scomparve prima di realizzarlo, accettai solo a condizione che mi fosse permessa una mia strada per descriverla. Su di lei c’erano tanti scritti politici, ma io avevo bisogno della ‘carne’, di capirla come persona umana e allora ho letto per cinque volte le sue 2.500 lettere e alla fine ho deciso di usare ciò che di esse mi era rimasto in testa”. “Oggi non si scrivono più lettere e ne risentono la poesia dell’esprimersi e la comunicazione interpersonale”, aggiunge dispiaciuta la Von Trotta.
Affermatisi ormai come il “faro” del moderno femminismo cinematografico, la regista, che con ”Vision” (2009) ha fatto conoscere al mondo la suora ribelle Hildegard von Bingen, ricorda quanto sia stato difficile far accettare alla società tedesca la sua realtà, di regista donna. “Anche con ‘L’onore perduto di Katharina Blum’ (1974) hanno cercato di mettermi i bastoni tra le ruote, mettendo nei manifesti solo il nome di Volker Schlondorff come regista: ancora oggi figuro come regista solo nei titoli della pellicola”.
Particolare la relazione lavorativa di Margarethe von Trotta con l’attrice Barbara Sukova, presente in molti suoi film. “Lei è la prima a cui presento la sceneggiatura e legge tutto ciò che ho letto io per creare il personaggio. Per Rosa Luxemburg, anzi, è stata lei a trovare un discorso contro la guerra e per la pace migliore di quello che avevo trovato io. Mi piace lavorare insieme con gli attori”. “Barbara – rivela la regista tedesca – sa cantare veramente sul set, tant’è che ha anche una sua band rock”.
E il rapporto con gli attori? “Beh, mi sarebbe piaciuto tanto lavorare con Volontè e Mastroianni”, afferma sorridendo questa girovaga delle storie, che ha girato due film anche in Italia e si definisce “una nomade, e per questo preferisco la definizione di regista europea e non regista tedesca”.