A lezione di cinema con Jean-Jacques Annaud
“Utilizzando il sistema 3D il regista si trasforma in uno scultore, mostrando un viso che si avvicina all’occhio dello spettatore, come se fossimo noi stessi all’interno di un acquario, ma dobbiamo utilizzarlo non commercialmente, per colpire lo spettatore, ma a servizio della storia narrata. È un sistema di riprese molto efficace per le scene di intimità o per dare emozione ad un oggetto particolare. Molti registi oggi non amano il 3D, ma l’ho scelto, per esempio in ”L’ultimo lupo” per creare maggiore intimità con gli animali, per meglio coinvolgere lo spettatore in un sentimento di condivisione delle emozioni del lupo”. Così il regista francese Jean-Jacques Annaud, che in serata riceve il Platinum Award dalla Fipresci, sollecitato da Michel Ciment, ha sottolineato il suo inalterato amore per la tecnologia e nuovi linguaggi visivi, umani e culturali che sono alla base de “L’ultimo lupo”, che è stato presentato in anteprima al Teatro Petruzzelli di Bari, nel corso della sesta edizione del Bif&st.
Una disponibilità di fronte a tutto ciò che può migliorare le nostre conoscenze tecnologiche e gli strumenti dei rapporti sociali, dalle emozioni al linguaggio, che continua a permeare e guidare la sua vita perché – ha precisato Annaud – “ogni adulto mantiene in sé un po’ dell’infanzia ed è bello emozionarsi ancora, pur se avanti negli anni, per un regalo. Per questo il cinema continua a interessarmi, anche se tutti, più o meno, facciamo sempre gli stessi film: il cinema è un gioco meraviglioso”. Originalità creativa nelle tematiche e nel linguaggio cinematografico da sempre alla base delle sue produzioni, fin dall’opera prima, “Bianco e nero a colori” (1976) che gli valse l’Oscar per la miglior pellicola straniera.
Annaud non si è mai cullato nel successo, né ha mai cercato di sfruttarlo con i produttori: “anzi, quelli francesi – confessa – sembrano avere una particolare avversione per lui”. E proprio i numerosi di problemi di produzione hanno spinto l’indefesso Annaud a cercare all’estero l’ambientazione e la realizzazione di molti suoi film, vedi Africa, Cina, Russia. Ma un particolare amore lo riserba anche per l’Italia, dove è stato folgorato dal neorealismo (“Altro che nouvelle vague” francese) e da uno dei tre registi che maggiormente hanno ispirato la sua vita. Ettore Scola, “i cui film – sottolinea Annaud – hanno influenzato molti francesi per il loro humor, l’eleganza delle storie e la profonda riflessione sociale che suscitano. Ho sempre desiderato di potergli rendere omaggio con i miei film”. Le altre due “Muse”, Alan Parker (per i suoi spot pubblicitari, che gli hanno fatto capire “che si può parlare anche con le sole immagini, utilizzando il linguaggio del corpo”) e Costa-Gravas (“i suoi film hanno sempre dato un senso particolare ai nostri tempi”).
Annaud ha sempre mostrato una particolare predilezione per le emozioni degli animali “per ritrovare – spiega – il comportamento dell’uomo: dobbiamo capire qual è l’animale che è in noi e come addomesticarlo”. “Lavorare con l’istinto degli animali – prosegue – mi aiuta a lavorare con gli attori, ai quali dobbiamo lasciare la possibilità di tirare fuori i propri istinti e metterli al servizio della storia narrata”. Un modo di lavorare che però si è talvolta scontrato con alcuni attori, come con Sean Connery in “Il nome della rosa” (1986): “Altro che recitazione istintiva: voleva sapere dove mettere il bicchiere, se a destra o a sinistra, dov’era il tavolo e di che altezza, e se qualcosa veniva cambiato nel copione si arrabbiava non poco”.